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PADRI E FIGLI SI INCONTRANO AL “CEVOLANI” NELLA VI NOTTE NAZIONALE DEL LICEO CLASSICO

DiGiuliano Monari

Gen 20, 2020


Venerdì scorso 17 gennaio, 436 Licei Classici su tutto il territorio nazionale hanno dato vita a una notte speciale: la Notte Nazionale del Liceo Classico. Il Liceo “Cevolani”, anche quest’anno, ha voluto partecipare alla festa della cultura classica, dedicando la serata al rapporto padri – figli nel mondo antico e moderno.

L’iniziativa, giunta alla sua VI edizione sul territorio nazionale, e alla sua V nel Liceo centese, ha visto come protagonisti studenti e docenti accomunati dal desiderio di condividere con le tante persone intervenute, la passione per opere che, pur arrivando da un tempo lontano, sanno ancora arrivare dritto al cuore di chi si interroga e riflette sul nostro essere “umani”.

Un collante potentissimo ha animato la serata: l’entusiasmo, la creatività di giovani che si affacciano alla vita riflettendo se stessi nello specchio intramontabile della cultura classica.

E così la notte, dopo il saluto della Dirigente scolastica Cristina Pedarzini, la proiezione del video e la lettura comune a tutti i licei, si è illuminata delle parole, delle immagini, delle musiche che gli studenti hanno reso vive, attraverso le loro performance, in un viaggio attraverso il tempo che ha mostrato come le parole dei padri verso i figli e quelle dei figli verso i padri abbiano oggi lo stesso suono di quei tempi lontani.

Padri e figli, ieri come oggi, si rinfacciano diritti calpestati o doveri non rispettati.

“Parli soltanto e non dai mai ascolto”, è il lamento senza tempo di ogni figlio verso il padre, ed è il lamento di Emone verso il padre Creonte, nell’Antigone di Sofocle, messo in scena con grande intensità da un gruppo di studenti. Dalla rappresentazione di alcuni brani dall’Alcesti di Euripide emergono anche i diritti rivendicati dai padri: “I padri non hanno il dovere di sacrificarsi per i figli”, è il grido di Ferete al figlio Admeto che gli rinfaccia di non aver saputo sacrificare la vita per lui. “Se io ti ho messo al mondo, non vuol dire che io debba morire per te. Per te stesso sei nato.”

Ieri come oggi, in scena tanti figli incompresi dai padri e padri vittime, insieme ai figli, della loro stessa incapacità di comprendere.

Con l’Ippolito di Euripide, gli studenti hanno raccontato il dramma di un figlio innocente, maledetto da un padre che non gli crede e che pagherà a caro prezzo il suo errore stringendo tra le braccia il figlio che, ormai morente, lo perdona in una pietà laica incarnata con grande pathos dagli attori/studenti.

Attraverso il tempo, si rincorre il grido dei figli che si sentono incompresi dai padri. “Amor può troppo più” il titolo della performance cha ha dato voce a vari figli incompresi dai padri: Kafka che dichiara al padre: “ le nostre esigenze erano completamente diverse”; Gertrude che, non avendo parole per opporsi all’autorità del principe padre, nell’interpretazione degli studenti le prende a prestito dall’incipit di Anna Karenina, dichiarando, con struggente malinconia: “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”.

E a una mitica figura di figlia sacrificata, quella di Ifigenia, ha dedicato parte della sua riflessione il prof. Renzo Tosi, dell’Università di Bologna nella sua conferenza incentrata su esempi di padri e figli nella tragedia greca.

E ancora, ieri come oggi, è vivo il contrasto generazionale tra padri e figli cui fanno da contraltare modelli educativi opposti come quelli presentati dai fratelli Demea e Micione negli Adelphoe di Terenzio o quelli al centro dello spettacolo tratto da Le Nuvole di Aristofane.

La serata si è snodata così attraverso molte altre performance, letture, drammatizzazioni e l’apprezzatissimo buffet greco fino al raccoglimento finale del congedo: il professor Claudio Ricci, applauditissimo dagli studenti per la sua instancabile dedizione, ha fatto risuonare in greco le parole dal Prologo dell’Agamennone di Eschilo, in contemporanea con tutti i Licei italiani.

E mentre riecheggiano questi suoni lontani eppure ancora così vibranti, viene da pensare che forse dai figli dovremmo imparare, con Antigone, che non siamo nati “per condividere l’odio, ma l’amore” e da questi figli in scena stasera senz’altro possiamo imparare l’amore per il bello e per l’uomo.

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