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Via dall’Italia! La fuga dei 30/40/50enni

DiGiuliano Monari

Apr 7, 2017

Ieri l’altro, i dati sul lavoro che fotografano uno slittamento pericoloso tra disoccupati e inattivi, tra gente che cerca un lavoro e gente che non ci prova più. Oggi quelli di Istat, che raccontano dell’esodo silenzioso di 115mila quarantenni e cinquantenni, un terzo dei quali laureato, che hanno lasciato l’Italia dal 2008 al 2016, quindici mila solo lo scorso anno.

Intendiamoci: non è gente che scappa per esasperazione. È gente che fa le valige perché all’estero le aziende fanno ponti d’oro per prendersela. Parliamo di manager, medici, ingegneri formati dalle nostre scuole, dalle nostre università, dalle nostre imprese che se ne vanno a lavorare per la Germania, per la Cina, per gli Emirati Arabi.

“Non c’entra più la congiuntura, è il nuovo standard”, avverte la Cna, che ha coordinato la ricerca. Ed è qui, se possibile, l’aspetto più grave della situazione. Perché possiamo anche accettare che un crollo verticale del Pil faccia fisiologicamente scappare le teste migliori. Non possiamo permetterci, tuttavia, che questa sia nuova normalità della nostra economia: un mostro dalle braccia troppo esili e costose per reggere il confronto con il grande opificio globale dei Paesi in via di sviluppo. E con un cervello troppo poco sviluppato per reggere quello con le grandi potenze occidentali. O fuor di metafora, scarsamente competitivo come prezzi e come qualità, nei prodotti e nei servizi.

Non è gente che scappa per esasperazione. È gente che fa le valige perché all’estero le aziende fanno ponti d’oro per prendersela. Parliamo di manager, medici, ingegneri formati dalle nostre scuole, dalle nostre università, dalle nostre imprese

Braccia e cervello, per altro, non si escludono a vicenda ma si completano. La sfida della manifattura digitale e di qualità si abbevera di intelligenze in grado di aggiungere valore al prodotto con l’innovazione tecnologica, col design, coi servizi, con le esperienze. Se il meccanismo s’inceppa, quel che rimane è un corpo inerte in cui pensionati, inattivi e garantiti esentati da ogni tensione competitiva la fanno da padroni. Un Paese a misura dell’inerzia e del riposo, che può solo peggiorare la sua già pessima piramide demografica, la sua già scarsa propensione a innovare, la sua già scarsa propensione al rischio. A vantaggio di tutti gli altri, ça va sans dire. Lo diciamo ai guardiani dei diritti acquisiti, alle vestali del sovranismo, ai luddisti che hanno già trovato nell’automazione industriale il nuovo capro espiatorio: unviolento stimolo fiscale, una radicale digitalizzazione della pubblica amministrazione, una spending review che faccia strame dell’idea che la spesa pubblica sia solo welfare diretto o differito, e ricerca ricerca ricercasono l’unica strada per invertire questa tendenza. Molto più di un ulteriore allargamento delle maglie dell’assistenzialismo, del ritorno alla lira o della tassa sui robot. L’alternativa è quel che già stiamo diventando: un cimitero degli elefanti, che sa solo specchiarsi nel suo passato e nelle mille occasioni sprecate. Francesco Cancellato da Linkiesta.it

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