• Dom. Giu 8th, 2025

Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina “Diritti Umani”: ma le baby gang?

La cronaca recente ci restituisce, ancora una volta, l’immagine inquietante di una gioventù che si aggira ai margini, non solo delle regole, ma anche del senso stesso della comunità. Le cosiddette baby gang, tornate sotto i riflettori per episodi di violenza, umiliazione e sopraffazione, sono molto più che una devianza sociale: sono un riflesso deformato e doloroso di ciò che, come società, stiamo lasciando indietro.

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani non può rimanere indifferente di fronte alla notizia dei recenti fatti accaduti a Torino – aggressioni tra minori, episodi di cyberbullismo, un linguaggio della brutalità che sembra essersi normalizzato tra ragazzi di appena 12 o 13 anni. Ragazzi che non esprimono rimorso, ma soddisfazione; che non temono la legge, ma cercano la viralità.

Questi non sono semplicemente “cattivi ragazzi”. Sono ragazzi che si sono smarriti nel deserto della disattenzione adulta, nel silenzio delle istituzioni, nell’assenza di riferimenti reali. Che il 70% di questi giovani sia italiano e che gli altri siano nati comunque nel nostro Paese dovrebbe toglierci ogni alibi: non è una questione etnica o culturale, ma educativa e collettiva.

A preoccupare non è solo l’escalation della violenza, ma l’anestesia etica che l’accompagna. Episodi come quello della “doccia forzata” ripresa con lo smartphone non sono solo atti di bullismo, ma vere e proprie negazioni della dignità umana. Quando il branco diventa identità, e il dolore dell’altro uno spettacolo da condividere, significa che qualcosa di profondo si è incrinato nel patto educativo tra adulti e ragazzi.

Non bastano i numeri, seppure allarmanti, a raccontare il dramma. Servono storie, ascolto, presenza. E serve una scuola che non sia lasciata sola a fronteggiare queste emergenze. La disciplina dei Diritti Umani, in particolare, deve assumere un ruolo centrale nei percorsi scolastici, fin dalle medie: non come semplice contenuto curriculare, ma come orizzonte educativo quotidiano. Parlare di diritti, dignità, responsabilità, empatia, rispetto tra i generi, significa lavorare ogni giorno per disinnescare la violenza prima che esploda.

Salutiamo con attenzione e speranza il lavoro dell’Associazione ASAI e del progetto Ricominciamo, che mette in campo la giustizia riparativa come alternativa concreta e costruttiva al sistema punitivo tradizionale. Perché la punizione, da sola, non educa. È solo nell’incontro – anche doloroso – tra chi ha ferito e chi è stato ferito che può nascere la consapevolezza.

Chiediamo che il Ministero dell’Istruzione e del Merito avvii un tavolo permanente con educatori, insegnanti, associazioni e rappresentanti delle comunità locali per affrontare con serietà e continuità il tema del disagio giovanile nelle scuole e fuori da esse. Le azioni educative non possono più essere episodiche o delegate al buon cuore dei singoli: serve una visione sistemica.

Infine, rivolgiamo un appello ai genitori, alle famiglie, agli adulti tutti: torniamo ad essere “testimoni credibili”. La noia, l’assenza, la solitudine digitale non sono inevitabili: sono spazi che possiamo e dobbiamo riempire con relazioni vere, con attenzione, con tempo. Non lasciamo che i nostri figli cerchino nel branco l’identità che non trovano altrove.

Non esistono baby gang, esistono giovani lasciati soli. E ogni volta che un ragazzo sbaglia, dobbiamo interrogarci non solo su ciò che ha fatto, ma su ciò che noi non abbiamo fatto per impedirlo.

Prof. Romano Pesavento

Presidente CNDDU