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ESSERE MEDICI IN UN MONDO CHE CAMBIA – Incontro all’IPSIA di Cento

DiGiuliano Monari

Nov 16, 2019


Sabato 16 novembre presso l’Aula Magna dell’IIS “F.lli Taddia” si è tenuta una conferenza con il dott. Roberto Maccaferri, oncologo presso l’ASL di Bologna.

Innanzi tutto si è discusso di come la medicina sia cambiata negli ultimi anni: lo screening e la prevenzione ha cambiato in maniera sostanziale la vita delle persone e l’incidenza dei tumori. Il mondo occidentale ha fatto poi un enorme passo avanti con la legge del fine vita: per la prima volta il concetto di libertà ha prevalso sulla tecnicità della medicina.

I ragazzi hanno poi riflettuto su cosa succede quando la vita di una persona cambia per sempre quando riceve una delle diagnosi più terribili: tumore. Innanzi tutto è importante capire che il sentimento dominante durante la comunicazione della diagnosi, la paura, è provata sia dal medico che dal paziente: la differenza è che il dottore si trova dalla parte “giusta” della scrivania in cui avviene il colloquio, ma deve comunque tener conto che ha di fronte una persona in una posizione di debolezza e fragilità.

La comunicazione è essenziale nei tre passaggi della malattia: diagnosi, terapia e prognosi. Quando l’oncologo deve comunicare la diagnosi le parole vengono comprese al 10%, molto più efficacie è invece il linguaggio del corpo: il medico deve parlare come se fosse lui stesso dall’altra parte della scrivania, tenendo conto del pazienze che ha di fronte. La competenza tecnica nella medicina di oggi è fuori discussione, il dottore però deve avere anche testa e cuore: se ha davanti una mamma giovane con due o tre bimbi piccoli, e le deve comunicare una diagnosi terribile, prevale il cuore e deve essere in grado di usare gesti ed espressioni particolari. Importante è non avere un approccio standardizzato e asettico, ma sempre empatico.

Nella prognosi, invece, per i pazienti il fattore tempo è essenziale. La domanda che tutti fanno è: “Quanto tempo ho”? Il dottore deve spiegare le diverse terapie possibili e decidere assieme al paziente quale intraprendere, tenendo conto delle aspettative del paziente stesso. Se si toglie la speranza, il paziente viene già ucciso. Senza illudere, è importante non dare una comunicazione secca e lapidaria, ma mantenere sempre vivo un aspetto umano, interessarsi della vita del malato, avvicinarsi a lui e al suo vissuto per aiutarlo ad affrontare un trauma che, purtroppo, colpisce un numero elevatissimo di persone.

Persone, e non numeri.

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